Messaggero Veneto sabato 14 novembre “Cultura”

Un calcio al pallone e la Callas che sviene

I ricordi del pittore Gianni Maran di quando PPP venne a Grado per girare la sua “Medea”

di Anna Dazzan
14 novembre 2015

Essere bambino a Grado, negli anni Sessanta, significava trovare il massimo godimento in un fazzoletto polveroso di terra in riva al mare. E, ovviamente, in un pallone. Di quelli duri, però, con le cuciture in rilevo sul cuoio marrone che fanno un male cane a colpirli col dorso del piede nudo. Ma a dieci anni, in riva al mare, giochi così, perché niente ha più rilevanza che veder rotolare quel pallone duro in fondo alla rete dei tuoi avversari, costi quel che costi. Ma se poi capita che, un giorno, quella sfera cenciosa finisce tra i piedi di un adulto che non resiste alla tentazione di palleggiare e tirare in porta, finendo poi a giocare con te, la tua prospettiva di bambino può anche cambiare. Comincia così la piccola e favolosa storia dell’incontro di un gruppo di ragazzini gradesi con Pier Paolo Pasolini, nell’estate del 1969, quando il regista si trovava sull’isola d’oro per girare il suo Medea. «Ce ne stavamo in questo piccolo e polveroso spazio accanto agli squeri, che per noi era come il Maracanã, totalmente ai margini del turismo». Gianni Maran, il pittore dei pesci reduce da una serie di mostre di successo da Friuli Doc al palazzo della regione a Trieste, era uno di quei ragazzini nati sull’isola, che al tempo non aveva ben presente chi fosse questo Pasolini. Ma un giorno di quella estate del 1969 le strade intorno al porto si riempiono di macchine e anche Maran, che al tempo aveva solo 10 anni, si rende conto che qualcosa di straordinario sta succedendo. «Abbiamo visto questa piccola folla, le macchine e poi diversi operai intenti ad aggiungere un rostro a un bragozzo.. era una cosa insolita per Grado, ma noi continuammo a giocare, finché il pallone rotolò ai piedi di quest’uomo magro che catalizzava le attenzioni di tutti gli altri. Lui lo prese, cominciò a palleggiare e non trattenne l’istinto di calciarlo in porta». Sì, la palla entrò e i bambini fecero quel che si fa quando si trova qualcuno molto più bravo a giocare, lo si invita sul campo. «Organizzò al volo una partitella con alcuni dei tecnici che erano sul set – racconta Maran, con l’aria di chi ancora assapora quel momento così lontano nel tempo – e per noi fu un momento straordinario, anche se non capivamo bene il perché». Pasolini è un nome noto, ma se hai dieci anni sogni il tuo pallone, non di conoscere un intellettuale che segnerà la storia del tuo Paese. Eppure per quel gruppetto di bimbi gradesi, da quel giorno, qualcosa cambiò. «Il fatto che nel nostro rarefatto angolo di paradiso succedesse qualcosa di così eccezionale come lo sono le riprese di un film, ci attirò tantissimo e così circondammo il nostro amico Eros, perché ci confidò che suo padre era stato reclutato per fare da comparsa nel film». Maran sorride, si ricorda l’eccitazione di quelle fine giornate quando i ragazzi si radunavano ad ascoltare i racconti dell’amico, riferiti dal padre, grazie ai quali prendeva lentamente forma l’immagine del mito di Pasolini, attraverso la storia della nascita di Medea. «Una delle cose che ci affascinò di più era proprio il ruolo di Giovanni detto “bimbo”, il padre di Eros, che oltre a fare la comparsa era anche l’addetto a far muovere il Minotauro. Per noi che crescevamo sfogliando Conoscere, l’enciclopedia comprata a rate dai nostri genitori, sapere che a Grado si stava ricreando quel mondo mitologico per noi era pazzesco». Già, Pasolini -che definì l’isola d’oro il suo “luogo dell’anima”- riuscì a portare in questo remoto angolo di Friuli Venezia Giulia, un mondo intero. Nel cast del film, infatti, spunta splendente il nome di Maria Callas, alla quale è legato uno dei ricordi di quei giorni più vivi nella memoria di Gianni Maran. «Un giorno Eros ci raccontò che suo padre soccorse la Callas che gli svenne addosso, e quando riaprì gli occhi lo ringraziò personalmente. Giovanni ci disse “avevo la diva tra le braccia” e per noi fu come un sogno». Un sogno che portava la firma di Pasolini, che con Grado aveva anche un legame personale, costruito con il poeta Biagio Marin. “Marin deve la sua notorietà proprio a Pasolini -ammette Maran- che curò per i torchi di Vanni Scheiwiller un’antologia delle sue liriche, Solitàe, convincendo Scheiwiller ad accogliere Marin tra i suoi autori.

Tra loro nacque un’amicizia, che portò poi Marin a scrivere le 13 liriche intitolate El critoleo del corpo fracassao (lo scricchiolio del corpo fracassato),alla memoria dello stesso Pier Paolo Pasolini e che fece da ponte per la mia passione pasoliniana”.

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